Il percorso artistico di Vittorio Lo Cicero é stato seguito con molto interesse ed ammirazione da parte di collezionisti, amatori d'arte, galleristi e critici d'arte.”” Il figurativo”” espresso con dedizione nei suoi paesaggi, ritratti, soggetti floreali ed altro, è stato molto apprezzato e ha suscitato un particolare senso di simpatia e una sincera affettività pittorica. I critici d'arte ne hanno esaltato i particolari curati: la forza vibrante del colore, la pennellata, il disegno, la vitalità, la magia luminosa, la liricità e la melodia del dipinto stesso. La professionalità lungamente sperimentata e l'avanzato stimolo creativo evolvono l'opera pittorica ad una vulcanica raffinatezza e ad una sublimazione di luminosità celestiale.
LA CRITICA DEL DR.GUIDO TRIVELLI
Non sono copie e tanto meno sono dei falsi. Più semplicemente sono degli “” Omaggi “” a grandi Artisti del passato, imitazioni se si preferisce, che Vittorio Lo Cicero ha eseguito e che fa vedere al pubblico in una esposizione che si è aperta al CIRCOLO UNIFICATO di Via Mainardo a Merano. Ed ecco quadri di Picasso, di Cézanne, di Van Gogh, di Plattner, di De Chirico e anche del Caravaggio; e davanti ad essi ti fermi con grande rispetto e con un po' di turbamento. Ed il rispetto e il turbamento certamente non vengono meno quando ti accorgi che sono opere di Vittorio Lo Cicero. “” L'ho fatto – dice – perchè la mia ammirazione per questi capolavori è infinita””. E nella sua modestia si dimentica, certo volutamente, di accennare almeno un pochino anche alla sua abilità e bravura: fra l'opera originale e l'imitazione non c'è differenza. E pensate: Vittorio Lo Cicero ha aspettato di smettere il suo servizio nella Polizia, per dare sfogo a quel che sentiva dentro. E aggiunge: “” La passione e l'idea ci sono sempre stati. Fin da piccolo ho seguito la pittura presso un bottegaio, però dopo ho cambiato attività arruolandomi in Polizia e quindi in questa lunga carriera è stato impossibile seguire anche la pittura. Con l'andare in pensione ecco che è stato possibile attuare l'idea che si coltivava già sin da piccolo. Contagiato anche dalla figlia Tessandra, perchè la Tessandra si dedicava alla pittura ( ha completato gli studi prendendo il Diploma di Maestro d'Arte), ecco, io la seguivo, disegnavo e così piano piano abbiamo frequentato dei corsi di disegno e pittura con il, il Prof. S Prof. Dall'Aglio chimenti, il Prof. Giorgioppi e Volcan ed altri e così abbiamo imparato le tecniche pittoriche. Quindi siamo andati avanti ognuno per conto proprio””. Gli fa eco la figlia Tessandra Lo Cicero, anche lei impegnata nella Polizia di Stato ed anche lei in preda alla stessa passione: “” Io ho un pensiero completamente positivo in merito, perchè l'arte mi ha dato tanto e continua a darmi tanto e penso che anche nel futuro mi darà tanto. Questa praticamente è una esperienza personale, perchè, riconducendomi al discorso di Papà, abbiamo iniziato ripercorrendo sì le immagini dei grandi artisti, però attualmente siamo arrivati a opere di propria interpretazione, io li chiamo opere di libera interpretazione, dove il linguaggio diventa personale e questo significa che l'artista riesce praticamente a trasmettere sulla tela quello che prova, quello che ha dentro, “” lo stato d'animo “”. Un cammino comune quello di padre e figlia, ma nel quale Tessandra ha voluto mettere qualcosa di suo, quel qualcosa che sentiva dentro e che ha cercato di trasfondere appunto nella pittura. Ed ecco due volti di bimbi e le “tigri reali” e “l'innocenza” e il “panda”. Sono una cinquantina le opere esposte e davvero si ci fosse da scegliere non sapresti che fare. Ma è fatale, quasi una attrazione, soffermarsi a lungo su quei dipinti che si riallacciano a veri e propri capolavori: ai Caravaggio, ai Van Gogh, ai Picasso; si aggiungono il Tiepolo, Klimt, Koester e Tamara de Lempicka, ai quadri della quale si è ispirato Vittorio Lo Cicero. Si arriva insomma comunque alla personalizzazione ed essa la si risente a ben guardare anche nelle opere imitative: e basta un piccolo particolare, una minima variazione, un diverso anche se fuggevole cambiamento di stile. Dr. Guido Trivelli – Critico d'Arte Bolzano, ottobre 1999
LA CRITICA DEL DR.PAOLO RIZZI
C'è in Tessandra Lo Cicero, la stessa problematica che contraddistingue la nuova cultura di fine Millennio: la ricerca, cioè, di una personale definizione stilistica nell'ambito di un sistema sociale che va sempre più omogeneizzandosi. Questa giovane pittrice ha appreso la tecnica pittorica attraverso la consolidata prassi dell' “omaggio”, cioè della copia interpretata da pittori famosi, antichi o moderni. In ciò ella ha rivelato, finora, una buona predisposizione, che è andata via via maturando. Dall'ossequio ai grandi Maestri all'estrinsecazione del proprio “io” individuale la strada è lunga. Ma l'avvio è promettente. Ci sono naturalmente dei pericoli cui Tessandra va incontro: da una parte l'imitazione pedissequa, dall'altra il semplice istinto. Constatiamo comunque che, anche quando ella tenta soggetti suoi propri, c'è sempre un “senso” in quello che fa. Basta vedere come ha capito l'importanza del fluire armonioso della forma della rappresentazione di un bambino; o come ha saputo riprendere un volto caravaggesco uscendo dallo schema severo del Maestro e ammorbidendolo con una delicatezza tipicamente femminile. In realtà è essenziale l'acquisizione della tecnica; ma è ancora più essenziale per un pittore come Tessandra la consapevolezza di ricreare le immagini che natura e cultura presentano ogni giorno davanti ai suoi occhi. E' l'eterna magia della pittura: la quale parte dall'oggetto ma finisce sempre per interpretarlo, trasfigurarlo, travisarlo: In questo senso non posso che augurare alla giovane artista bolzanina di guardare sempre in là, oltre la crudezza del reale. La pittura – già se ne vede qualche pur acerbo risultato – può diventare, più che un piacere estetico, la ricerca della propria personalità: quindi l'estrinsecazione dei propri sentimenti. Dr. Paolo Rizzi – Critico d'Arte del Gazzettino Venezia, ottobre 1998
LA CRITICA DEL DR. GIORGIO FALOSSI
Vittorio Lo Cicero, Artista-Pittore, vive e lavora a Bolzano nello Studio d'Arte “”LOVE””, sito in Viale Europa nr.152/51. Una pittura figurativa, una pittura verista, ma, ove sia il figurativo che il verismo sono presentati in maniera speciale. Si intravvede nell'opera di Vittorio Lo Cicero un' attenzione di crescita di immagine, un sedimento di energia vitale. I vari elementi della composizione vengono in tal modo ad essere collegati in un tessuto in cui tutto corrisponde in accostamenti formali e coloristici. Così nell'opera di Vittorio Lo Cicero dal titolo “” 5 anatre in uno stagno con ninfee “” ci sono tutti gli elementi annunciati nel titolo. Il disegno impeccabile, i particolari curati, la vitalità degli animali che competono con sfavellio dei vegetali. Il colore è intenso, dal blu al rosa con macchie di bianco che esaltano la luce, la recuperano, la rifrangono, il motivo che diventa gioia, libertà, passione. L'artista si serve del colore per articolare le forme, per sprigionare la magia dell'arcano sia nelle figure sia nei paesaggi. Si percepisce infatti la gioia creativa di un artista che sa sollevare il velo della poesia per riproporla in modo originale come vibrazione dall'accento sempre comprensibile. Nasce da qui una validità che distingue il personaggio dalla messe comune dei pittori. Una cristallina realizzazione resa per illustrare un significato interiore, per umanizzare le dimensioni, per sradicare la concezione del tempo. E' una raffigurazione pur nella rappresentazione della realtà di un mondo personale su cui si può entrare solo con l'abbandono ad una specie di felicità che ti porta all'estasi. C'è una completa aderenza ai motivi trattati, ad assorbirne sensazioni e vibrazioni di questo mondo dipinto che nel suo intimo si dilata. Vittorio Lo Cicero unisce se stesso alla sua creazione, mettendovi la sua facoltà di traduzione di una dimensione che del reale ha solo l'apparenza. La pittura ora si trasforma in scelta di vita per diventare Arte. Tra i vari critici che hanno scritto l'attività di Vittorio Lo Cicero ricordiamo Belgiovine che così si esprime: “” La brillantezza del colore scaturisce dalle sue interpretazioni artistiche e sottolineano la capacità serica nel descrivere opere di grandi Maestri. Una suggestiva opera maturata dallo studio e dalla conoscenza di tecniche composite che attingono all'artista un grado di bravura piuttosto elevato””. E Argèlièr scrive: “” Una sintesi di colore fra presente e passato in perfetta sintonia con la sua descrizione della realtà. Cromatismi che sfuggono le lusinghe tendenziali per dar vita ad opere ricche di sentimento emotivo che lasciano intatto il fascino di opere palpabili di emozioni. Dr. Giorgio Falossi – Critico d'Arte Milano, maggio 2002
LA CRITICA DEL DR. PAOLO RIZZI
La differenza tra falso storico, copia, “omaggio”, derivazione, interpretazione e ricreazione vengono considerate labili e, talora, ingannatrici. Esse risiedono in tutta una prassi che fino al Settecento era diffusissima. Il cosiddetto “diritto d'autore” oggi vigente (anche se non ben precisato legisla- tivamente per le opere visive) non esisteva un tempo. Tiziano riprendeva alla lettera Bellini; Rubens faceva altrettanto con Tiziano. Nessuno aveva da ridire. Ciò che contava, più che l'invenzione del motivo, era la qualità tecnica: tanto che il concetto di “stile” personale risale soltanto a metà Ottocento. In sostanza: per un Pittore antico “copiare” un altro quadro equivale a quel che oggi si dice fare un ritratto o ispirarsi ad un paesaggio. Vittorio Lo Cicero, con i suoi “omaggi” a grandi Artisti del passato remoto o prossimo, rivive quasi l'idea della “mimesis” classica. Zeus o Apelle, pittori mitici, erano tanto considerati in quanto riuscivano a imitare, ad esempio, una mosca che si posava – secondo il celebre apologo greco – sulla superficie dell'affresco. Imitare una mosca o – si potrebbe dire oggi – imitare Picasso. Quale differenza esiste? Il verbo cubista-picassiano é stato per un periodo (tra il 1945 e il 1950 circa) il modello primo da imitare per i giovani pittori. Nessuno parla di plagio, e men che meno di falso. Si tratta di un gusto (diciamo di una moda) che si diffuse in quegli anni e che tuttora, per qualche verso, permane. Essa, oltretutto, qualifica un “Maestro” com'era in effetti Picasso. Baudelaire diceva che una donna è bella soltanto se ha gli occhi impiastricciati di kohl, cioè bistrati al massimo, mentre il suo contemporaneo Corot amava la “verità”, cioè la donna naturale. Sono due concezioni diverse e, in un certo senso, complementari. Entrambe si ispirano – come non è possibile fare altrimenti in pittura – ad un nucleo originario, sia ideale sia reale. E' chiaro che Lo Cicero ha scelto la strada della derivazione culturale. I suoi modelli non sono reali, nel senso che non consistono nella rappresentazione dell'oggetto della visione naturale (un nudo di donna come un paesaggio, una cuccuma di caffé come una cesta di mele) ma sono modelli derivati. In pratica l'oggetto é un altro dipinto: sia di Caravaggio o di Van Gogh, sia di Tamara de Lempicka o di De Chirico, sia di Renoir o di Kandinskj. Naturalmente, come succede per il pittore che ritrae una persona fisica, cioè che ne fa il ritratto, si sommano i due aspetti: quello della raffigurazione del soggetto, cioè della verosomiglianza, e quello dell'interpretazione, cioè della sovrapposizione della natura stessa dell'artista. Il soggetto è là, pronto per essere riportato nella magia illusionistica della pittura: una fruttiera alzata sul tavolo o un dipinto che, a sua volta, la ritrae. Non succede la stessa cosa per la fotografia? Non ci sarebbero grandi fotografi se tutto si riducesse al mezzo meccanico. Lo Cicero lavora con i colori e col pennello. Egli parte da un punto (l'opera da riprodurre) ma arriva, inevitabilmente, ad un altro punto: che è quello della personalizzazione della sua opera. Questa personalizzazione può essere più o meno evidente; ma c'è, e appare ben chiaramente. Soltanto chi nulla o poco conosce del dipinto d'origine (il “d'après”, come dicono i francesi) può fare confusione. Chi intende invece approfondire le diversità, magari sottili, del linguaggio, non può che riconoscere il valore, in sé, dell' ”interpretazione” rispetto all' “imitazione”. E' ciò che ognuno deve tentare di fare, finora chiedersi che cosa si nasconde dietro, ad esempio, ad un “omaggio” a Tamara de Lempicka: in particolare la famosa “” Ragazza in verde “” (1927 circa). Osservando sia pure a distanza l'originale e l' “omaggio” ci si rende conto di come Lo Cicero abbia, sottilmente, modificato colore, segno e forma. Il verde s'è fatto più elettrico, più freddo; il chiaroscuro viene molto accentuato; il contorno diventa più nervoso, più “elettrico”. Piccole differenze? Sì, ma anche basilari differenze, secondo i punti di vista. Lo Cicero ha preso lo spunto dallo stile dell'Artista polacca-russa per accentuarne il dinamismo interno, quindi la forza espressiva. S'intenda: la grandezza della Lempicka non è per nulla menomata dal fatto che il pittore italiano abbia preso lo spunto da Lei e quasi si sia impossessato della sua arte, come del resto Picasso non è stato mai diminuito (anzi!) dal fatto di aver avuto migliaia e migliaia di seguaci, imitatori, interpreti, financo copisti alla lettera. Impariamo quindi a distinguere, nell'arte, anche le minime variazioni, gli accenti più lievi, le screziature più sottili. Ogni quadro diventa un mondo a sé, inserito in un contesto che lo ingloba ma non lo annulla. Tutti viviamo in una sorta di “villaggio globale”, come diceva McLuhan; e ciascuno di noi subisce le influenze dell'altro. Importante è che ciascuno conservi, sia pure nelle pieghe della sua espressività, il personale carattere: “” una sua voce peculiare “”. Dr. Paolo Rizzi (Critico d'Arte del “”Gazzettino””) Venezia, Ottobre 1998
LA CRITICA D'ARTE DEL DR. GIUSEPE MARTUCCI: L'EMOZIONE PITTORICA SOLARE: Un caso raro. Ma capita che un pittore, mai messo piede in una accademia d'arte, possa ugualmente dipingere e trasmettere l'invenzione emotiva nella forma e nella luminosità che sorprendono. Meravigliano l'aguzzo strutturale che racchiude il corpo dell'immagine e il ruolo solare del colore. Così che, Vittorio Lo Cicero di cui ci stiamo interessando, sia un pittore di piena radice autodidatta. Qualche serata di corso, da pensionato a Bolzano, da Dall'Aglio o Giorgioppi, ma troppo poco per maturare quella felice manifestazione visiva di poetica figurale ai limiti estremi di covanti tensioni surrealiste o di pittura pop americana. Ma sintetizzando, pensiamo che Lo Cicero abbia davvero ragione, quando ama definirsi semplicemente un pittore figurativo. Le aggettivazioni della tecnica non fanno per lui c hed, a buon dire, lo possono persino infastidire e, pertanto, distoglierlo dalla schiettezza creativa innata che lo fa dipingere agevolmente come si sente. Come lo rende vivo e lo attivizza la sua personalità primigenia spontanea e sincera. E se nell'immagine figurativa, come al pittore piace che sia definito il suo dipinto, poi si presentano arabesche grafie o scoppi informali di colore, similmente a ""Magia solare"" che stratificano l'immaginario in atmosfere di cielo sognante, a Lo Cicero poco importa. Per il pittore diviene essenziale eliminare le remore d'ogni natura che fanno ostacolo alla dolcezza armoniosa dell'immagine. Il suo desiderio é dipingere. Solo dipingere liberamente per sentirsi posato e cordiale d'essere pittoricamente se stesso privo di montature. Forse, il suo radioso tonale che accende di salubre le campiture del dipinto, in qualche modo si deve alla sua origine sicula (nasce a Rosolini in provincia di Siracusa) . E quindi una certa particolare incidenza di magia luminosa nel suo figurativo comporta il germe del congenito, come pure l'apparenza dell'intercalanza arabesca in alcuni tessuti d'immagini......
LA CRITICA D'ARTE DEL DR. GIUSEPE MARTUCCI:
Una tematica pittorica contemporanea che sente e sviluppa l'emozione del suo tempo sia che il pittore dipinga seguendo lo stimolo della libera fantasia, sia che manifesti una natura morta, un paesaggio, un nudo od altro. Il rigore esecutivo libera l'emozione del congeniale della rappresentazione che sa essere matura di principio e di tavolozza che gioiscono di mestiere e maestria. Il ritmo, la tonalità, il timbro, la materia stessa del compositivo diventano i mezzi coadiuvanti da un'associazione generatrice che allude senza preamboli all'eco spontaneo della liberazione poetica. Come se il soggetto sortisse di sforzo intenzionale da un drammatico tugurio dell'ignoto per vivere l'armonia solare della vita reale ricordando la penuria della sua origine oscura. E così l'immagine pittorica di Vittorio Lo Cicero diventa piacevolmente popolare, d'una popolarità affettiva che universalizza la sua spinta in forma d'incontro permanente con lo sguardo del' ""altro"", dell'oggetto esterno che avvicina l'opera e se ne compiace per il richiamo generoso che manifesta l'immagine: la sua vitalità, la sua forza vibrante di colore fiorente di avanzata primavera di cui si compiace la serenità dell'animo disteso, la liricità e la melodia del dipinto si risvegliano alla manifestazione scandendo un'atmosfera di sonorità che musica i desideri più riposti del profondo partendo, appunto, dal remoto dell'impulso creativo per raggiungere la più avanzata poesia della vita. Critico d'Arte Dr. Giuseppe Martucci Milano, marzo 2001
LA CRITICA D'ARTE DEL DR. GIUSEPPE MARTUCCI: : "PITTURA PROPOSITIVA DI COLORE E RICERCA ESTETICA A CONFRONTO"
Una creazione artistica che si realizza e celebra la sua divulgazione per le vie del mondo restando ben lontano dai miti e dalle allegorie e vive il suo immaginario creativo nella densità tonale del reale. Un modo per asserire che nella sua pittura il colore esprime la vitalità innata e la preferenza di un'immagine pittorica in cui l'origine della natività dell'artista vi permane come un embrione catalizzatore dal quale ogni soggetto dipinto alimenta il suo volto cromatico. Lo Cicero é di origine siciliana (nasce a Rosolini -SR- ), ma da una vita a Bolzano, città che oggi lo vede un seguito pittore, dopo averlo conosciuto con ammirazione. Coordinatore della Divisione Polizia Anticrimine della Questura del luogo. Un particolare dettato da necessità critica soprattutto per chiarire che pittore non si diventa, ma si nasce con l'avanzata facoltà di scoprire la bellezza: l'armoniosa tensione che un operatore visivo scopre quando più strettamente collega il suo interiore, la sua personalità sensitiva all'ambiente suo e dell'altro. Tal'è che i suoi dipinti come ""Rosa con bocciolo"", esplode di una vulcanica raffinatezza dove la carica é sì di principio primario ma l'avanzato stimolo poetico e la professionalità lungamente sperimentati, evolvono l'opera ad una sublimazione di luminosità celestiale. Il valore fondamentale del suo dipinto diviene pertanto il colore che non ha una stiratura veristica come pure si possa pensare, ma una meraviglia di bellezza evocativa che non accetta steccati di corrente per non ombreggiare minimamente quella creatività analogica che si rivela una pura essenza di sole elevato all'inusuale bellezza. E tutta la pittura di Vittorio Lo Cicero si fermenta sulla tavolozza nel costante impegno di una straordinaria fuga di lontananza assiomatica dal reale, per tradurlo nel contempo ad iperrealismo di magia, il fascino estetico che contraddistingue il dipinto di Lo Cicero. L'incosciente liberazione allo stato puro origina dal principio stesso del mondo. E nella manifestazione pittorica diviene consapevole man mano che la pratica della realizzazione penetra il fenomeno dell'arte, quasi a concludere che l'idea dell'arte é l'avverarsi della nuova coscienza creativa. Quel misterioso mondo che oggi nel laboratorio di Lo Cicero estende il suo patrimonio genetico alla collaborazione artistica della ventottenne figlia Tessandra, che non spegne, ma collabora con il padre a tenere viva l'accensione e la prosecuzione felice della vocazione pittorica. Se poi al taglio personale del pittore Lo Cicero si vuol motivare l'ulteriore chiarezza critica, allora si deve soggiungere che in tutta l'estesa produzione dei suo lavoro sussiste di premessa teorica la scomposizione dell'ordinario per comporre lo straordinario visivo dell'immagine pittorica atemporale, nella quale non si conosce l'avvio e tantomeno si pronostica l'arrivo, allorché l'essenza del dipinto propende per l'indefinito del tempo. Una filosofia generalizzata che diviene per destino di vita e di moto artistico una particolare creazione pittorica. Ma l'arte in quanto esplosione disinteressata di ricerca creativa, non può essere confusa con il ragionamento e pertanto incontra il suo esemplare linguaggio nell'esplosione emotiva dell'istinto. L'incognito di quell'inconscio che avvicina Lo Cicero ad ammirare le grandi opere di pittori storicizzati ed a riprodurne degli esemplari in omaggio come per Van Gogh, De Chirico, Picasso, Manet ed altri, senza dimenticare Tamara De Lempicka, la famosa pittrice per la quale Lo Cicero alimenta un sensitivo richiamo artistico come nell'opera ""Le calle"" che dipinge in suo omaggio e delle altre eseguite con finezza imitativa di stile. Ma se oggi Lo Cicero é pittore realizzato, lo deve non tanto alle sue doti di facoltà intuitive, ma in parallelo pure alla sua instancabile tempra di lavoratore che produce un compendio di oltre MILLE OPERE COLLOCATE IN TUTTO IL MONDO
LA CRITICA D'ARTE DEL DR. GIUSEPPE MARTUCCI:
Anche grazie allo stimolo dei premi conseguiti in rinomate rassegne artistiche internazionali che dall'Europa raggiungono l'America e l'Australia. E la richiesta del dipinto di Lo Cicero non nasce a caso, per colpo di fortuna, ma per la sua metodologia di lavoro dettata dalla sua tecnica ad olio, colori originali, su tele di puro lino la cui realizzazione richiede circa sei mesi. Il motivo, questo, per cui domandare un quadro all'artista comporta una prenotazione a lunga scadenza. Infatti l'impegno tecnico della realizzazione é certamente molto laborioso. La pittura di Lo Cicero persevera anche l'""antitesi"" dello sviluppo sociale e lo si afferma nel senso che mentre il nostro vivere quotidiano si accalca sempre più di violenza, la sua pittura ci mostra il contrario e diffonde sempre meglio e con maggiore insistenza di crescita artistica il senso più risoluto della bellezza figurale. Ancora una considerazione non di troppo sull'opera di un pittore che non dipinge per pura spinta analogica, ma per collegare l'istinto alla responsabilità raffigurando un soggetto nel quale l'evoluto della luce conquista la serenità dell'uomo. Riflessioni apparentemente nascoste nell'abituale della funzione artistica generalizzata, ma che , purtroppo, esistono di necessità e di cui occorre tenerne conto per dare al tema del pittore non solo un apprezzamento estetico d'occasione, bensì una lettura di premessa che ci faccia comprendere come la bellezza non nasca a caso nella mente dell'uomo ma si realizza nella conoscenza del lavoro. Per cui quello che nelle arti figurative va maggiormente considerato non é tanto la natura in se stessa di un dipinto, quanto il comprendere perché e come l'opera sia stata maturata nella sua novità così attraente, appunto, come oggi può essere, il dipinto di Lo Cicero. Una produzione artistica che origina da radici molto antiche e da esperienze di vita non certo comuni. Non é solo la sicilianità a rendere interessante il dipinto di Lo Cicero, ma anche la sua riflessione di uomo avveduto e penetrato nella profondità dell'umana storia. Critico d'Arte Dr. Giuseppe Martucci Milano, Dicembre 2006